Tag Archivio per: racconti caccia

L’avevo incontrato per la prima volta un mese prima, quando trovandomi in ferie con mia moglie nella mia dolce Liguria, ricevetti una telefonata serale da Anna Maria Scotto, stimata fornitrice dei miei ausiliari da caccia, nonché cara amica.

Ciao Silvio, come stai? …. bene grazie e Tu?

Dopo le solite frasi di abitudine veniamo al punto:

Ho sentito che cerchi un cane e io ho un cucciolone che giusto fa per te!

La storia che seguí fu drammatica e toccante.

… Sai, ha un anno ed é in cura da un ”allenatore” che ne voleva fare un cane da gara … purtroppo pare che a causa di una tendenza del cane al passo ambio non lo voglia piú e parli di darlo a qualcuno in Jugoslavia (…sigh!). Vai a vederlo che é un gran bel cane e soprattutto ha un carattere d’oro!

-Mio dio! Disse mia moglie, mentre io inorridivo vedendo quella scatola ”due metri per due” di lamiere ondulate sotto i trentatre gradi del bel sole italiano dove il bracco era rinchiuso.

Vieni fuori! …fatti vedere, disse il dotto “allenatore” divaricando le lamiere arruginite e facendo uscire, insieme a mosche e lezzo di sterco secco, il cane.

… Sa, qui dentro il ”fannullone” ha compagnia, sta con altri due cani che ora sono fuori ad allenarsi e a sudare mentre lui é da oltre cinque mesi che fa bella vita!-

il-cenerentolo-2Grosso, biancarancio, ossuto e senza muscoli, il ”cenerentolo” uscí incerto nella luce abbagliante del sole per poi subito precipitarsi ad immergere le fauci spalancate in una ciotola d’acqua sporca poco distante.

–o–

BANG!

La rosata fiondó il tappeto di mirtilli un metro abbondante dietro la coda della vecchia cedrona che, aiutata dalla discesa, viró velocissima sparendo dietro una grossa macchia di ginepri.

BANG!

La seconda botta si infiló rabbiosa tra gli aghi del povero arbusto che parve rabbrividire frustando violentemente l’aria coi rami.

Frulli e ombre tra i rami delle betulle circostatanti indicavano chiaramente che i giovani della nidiata seguivano l’esempio della chioccia cercando lidi piú tranquilli.

Giú, oltre i ginepri, qualcosa prese quota sfiorando le cime degli abeti per sparire definitivamente verso valle.

Porco boia l’ho mancata!

Il cucciolone, ancora buffamente fermo a testa in giú sulla ripida pendenza, contraccambió il mio sguardo e, inarcando le rughe che gli rotolavano sugli occhi, assunse una espressione del tipo …e ora?

–o–

Si era comportato benissimo fin dall’inizio.

Dopo aver incominciato freneticamente a braccare e sbuffare su e giú per una cinquantina di metri di ripida costa del monte, aveva preso a guidare deciso verso la cima seguito dal sottoscritto che, a retro del suo posteriore, era perfettamente conscio di quanto, i diabolici pennuti che abitavano quelle foreste, erano restii a collaborare e a rimanere sotto ferma.

… Saranno i cedroni della nidiata indicatami la sera prima dalle guide locali o sará chissá che?! …Magari una renna o un alce …o che so!? Ancora peggio …uno scoiattolo o un topo!

il-cenerentolo-3Non volevo neanche considerare quelle quattro quagliette spennacchiate da allenamento che gli avevano messo sotto il naso in un praticello italiano, per cui, questa era forse la sua prima azione di caccia e, per giunta, su un terreno cosí impegnativo come puó essere la lapponia svedese.

Rari pini facevano da cornice al pianoro della vetta che, discendendo bruscamente sull’opposto versante, spaziava sulla valle sottostante colorata dai gialli e rossi tipici dell’autunno del nord.

Il bracco, completamente insensibile a tali bellezze, continuava la sua guidata lentamente, passo dopo passo a testa alta, per poi, scavallando sulla ripida discesa, immobilizzarsi definitivamente.

–o–

In realtá io i miei “Montealago” li ho sempre presi appena svezzati dalla fattrice e questa era la prima volta che mi trovavo a che fare con un cucciolone di oltre un anno, per giunta cresciuto come un ”cenerentolo” nelle mani di un ”allenatore” neandertaliano che ancora ”allenava” i suoi cani a suon di fucilate e botte.

Ma quel suo fare guardingo di avvicinarsi a noi dopo aver bevuto l’acqua fetida della ciotola, quello sguardo intelligente di chi per sopravvivere deve aguzzare l’ingegno, quella disperata richiesta d’affetto malcelata dietro la prudenza di chi sa che dalle mani dell’uomo non vengono solo carezze, ci avevano immeditamente conquistato.

Fiduciosi nelle rassicurazioni della competente amica Anna sull’intelligenza e stabilitá di carattere del cane, l’avevamo accettato immediatamente ed eletto al rango di aspirante ausiliare da caccia di famiglia.

–o–

il-cenerentolo-4Tra gli abeti sottostanti un leggero frullo mi confermó che probabilmente l’ultimo della nidiata si ricongiungeva alla famiglia giú nella valle.

Porco boia l’ho cannata! Ripetei furioso.

La delusione per una cosí stupenda occasione di coronare il lavoro del cane e consolidare la sua esperienza futura mi soffocava e, mentre bestemmiavo sulla decisione (le solite scuse!) di essermi portato la doppietta del venti invece della mia vecchia e fedele ”Zoli” con il suo potente e tonante calibro dodici, quasi non mi avvidi che il bracco, discesa la crina, era sparito a tutta velocitá nel bosco sottostante.

SAUL! SAUL, VIENI QUI! Porco mondo, adesso perdo anche il cane!

Discendendo al massimo della velocitá e maledicevo il fatto di non poter usare il mio fischietto a cui il cane non era avezzo, mi chiedevo se avessi mai piú rivisto il quadrupede.

Rincorrendo le code dei cedroni, non abituato a queste emozioni e a questi terreni, si sarebbe potuto facilmente e irrimediabilmente perdere in quell’immensitá di chilometri quadrati di foreste,.

Forse mezzora, che a me comunque sembró un’eternitá, era ormai trascorsa da quando, raggiunta una radura, decisi di fermarmi aspettando seduto su un tronco che imputridiva pazientemente tra i mirtilli.

Mentre la seconda sigaretta si consumava tra le mie dita e assieme a lei la speranza di rivederlo, forte dell’esperienza dei luoghi, mi elencavano disperato tutti i pericoli che quei territori presentavano a un cane inesperto.

Orsi, linci, lupi e melmose paludi, in fantasie macabre, sbranavano e affogavano i miei trentasei chili di bracco tra ringhi, rigurgiti e strazianti guaiti …. quando di colpo un rumore lontano di rami spezzati mi fermó il cuore.

Ai bordi della radura tra delle betulle nane e contorte, era apparsa una macchia bianco arancio che avvicinandosi presentava contorni braccoidi.

Buon Gesú grazie, é lui! SAUL QUI! SAUL!

Ma c’era qualcosa di grosso e brunastro che disturbava l’armonia della sua meravigliosa testa e mi lasciava dubbioso.

…che sia?… no… non puó essere!… ma come e possibile?

Era proprio vero.

Il ”cenerentolo” mi veniva incontro tutto fiero a testa alta con la cedrona in bocca, disalata dalla mia fucilata ma ancora abbastanza viva da sbatacchiargli le ali sul muso obbligandolo a strizzarmi l’occhio; quasi a volermi dire:

Hai visto come sono bravo! … adesso hai capito con chi stai cacciando?

–o–

Un rumore di sega che morde un buon legno stagionato mi strappa di colpo dai profumi dell’autunno lappone, dagli abbracci e dai baci col groppo in gola del nostro incontro; la valle, gli alberi, la radura svaniscono e lentamente dai ricordi ritorno al presente.

La tastiera del computer adesso tace e soltanto lo scoppiettio dei ceppi nel caminetto fa da sfondo al russare spudorato del bracco che, avvitato in una posa impossibile modello ”pancia in su”, se la dorme alla grande nella sua comoda cuccia.

Alcuni scatti di zampa mi fanno sospettare che stia sognando; forse emanazioni, ferme, frulli di starne e fagiani, fucilate e riporti nei campi dello Scania con coccole, pappe calde, affetto e carezze.

Il ”Cenerentolo” dorme, russa e sogna felice mentre le luci intermittenti dell’albero di Natale paiono tingere con colori diversi i fiocchi di neve che lentamente e dolcemnte cadono, sul davanzale della veranda.

Grazie Anna, …. grazie e Buon Natale a tutti Voi!

il-cenerentolo-6

                                                                                                Silvio Umberto Intiso

..Beep…beep…beep… Il suono remoto e lontano ci arrivava con le folate del vento che quel giorno sembravan rincorrersi nei boschi di Os, scompigliando i fiocchi di neve come in quella palla di vetro che amavo tanto agitar da bambino.
-Da che parte, Marco?- Il Marco, le cui orecchie funzionano meglio delle mie ormai offese da troppe fucilate, era diventato, a giusta ragione, il navigatore ufficiale dei nostri pellegrinaggi norvegesi sulla scia del Re e delle sue regine.
3-Aspetta, stai fermo!- E cosí dicendo, tendeva il collo torcendo la testa col naso all´insu` come a fiutare tra la neve quei Folletti che, con gli Orchi e gli Gnomi delle fiabe del Nord, spiavano curiosi noi, intrusi pietrificati da remoto incantesimo, in quella lattea luce irreale di quel freddo mattino norvegese.
-A me pare di lá!- Sentenzió il Marco alzando il braccio come un ago di bussola verso il polo magnetico mentre indicava verso uno dei tanti valloni che, intersecando l´isola, riportavano al mare tortuosi ruscelletti d´acqua pura.
-Dai andiamo!- La neve smorzava i rumori dei passi sugli aghi di larice che le fate d´autunno avevano usato per dipingere d´oro le felci del bosco cosí che soltanto il cuore e i respiri affannosi ci facevano da colonna sonora in quell’ avanzare impaziente tra il zig-zag del ruscello.
..Beep..beep..beep.. Anche le mie orecchie malconce incominciavano a percepire lo squillo d´allarme inviatoci dalla scatoletta magica al collo regale.
-É lassú!- Ancora una volta il braccio del Marco si tende verso l´alto, puntando un costone di roccia ricoperto da muschi e aghifogli sulla nostra sinistra e, a sentenziare la decisione presa come irrevocabile, ne stende anche le dita come in un nostalgico saluto romano.
-Io passo di qui, ci vediamo di sopra!- E sparisce in un sporco di rovi che con giganteschi ginepri, al pari di soldati a difesa del regno, giravano intorno all´altura risalendola dal dietro piú dolcemente. Io invece, preoccupato per la lunga attesa delle Loro Altezze Reali, decido per un’ azione diretta e attacco lo scosceso nel punto piú ripido ma direttamente sottostante al richiamo imperiale.
..Beep…beep…beep… Lo scandire delle pulsazioni del mio cuore nelle orecchie si sincronizza e poi supera l´intermittenza del richiamo sovrastante e, incurante delle lance con cui i pungitopi difendevano l´altura sulle mie povere gambe, scavallo la cima.
..Beep….beep….beep…. Il suono, ormai nitido, sembrava scandire un immaginario valzer sulla terrazza mentre i fiocchi candidi della neve turbinavano intorno al Re come festosi cortigiani danzanti; Lui, prostrato in un perfetto inchino e incurante della festa, come un Romeo inamorato, fremeva le nari guardando intensamente alcune giovani betulle solitarie che, a mó di loggia sul mare, sospettai essere l’ultimo rifugio della pudica e schiva Regina del luogo.

IMG_1739Il vero nome del Re, a onore del vero era Rex. Il nome gli era stato dato, appena aperti i suoi occhi ambrati da setter sulle miserie del mondo, da un Norvegesone grosso grosso e cacciatore di cervi. Probabilmente ignorando il significato “latini” del blasonato vocabolo, il Vichingone aveva comunque trovato in quella “x” finale un suono ostico e abbastanza teutonico da risultar di suo gusto. Accadde che, nell´autunno di tre anni fá, il Norvegesone mi invitó a visitare certi posti dove a detta sua ”beccacce grasse come galline” razzolavano in attesa dei venti giusti per l´imminente viaggio migratorio oltre il Mare del Nord; lo seguiva, nella parte di ausiliare canino, un setter che oltre ad ostentare una magrezza patetica trascinava penosamente al collo un enorme campanaccio bovino .
-REX quí!…REX!..REX!- Gridava il Norvegesone tutto rosso in viso,(ah! che bella cosa l´uso del fischietto!) e giú fischi a quattro dita in bocca con espressioni da far schiattare d´invidia il migliore attore tragico-comico della MagnaGrecia. E poi.. .. giú botte, quando finalmente il bianco arancio ritornava, mogio e consapevole della pestata imminente, scuotendo quell campanone inutile per cerche troppo lunghe in quel labirinto di valloni e boschi.
-Oh! .. io lo ammazzo!..Kaput!- …e strabuzzava gli occhi tracciando con l´indice una linea immaginaria da sinistra a destra sul collone peloso dopo un ennesima e prolungatissima assenza dell´introvabile cane.
-Qualche volta finisce che lo ammazzo come ho ammazzato suo padre!….Ja! Stesso difetto di padre, Ja!-
Diceva, associando le idee.
-Tu lo sai Silvio, come vanno queste cose,..tu lo sai perché sei cacciatore come me,..oh!.Ja!..REX! REX quí! Per Odino! …Ja!…Io lo ammazzo! Kaput! –  Cosi diceva il Norvegesone grande cacciatore di cervi e giú fischi e boccacce mentre si scendeva verso l´auto parcheggiata a fondo valle.
Ma io, che sono testardo e sinceramente dopo tutta quella scarpinata tra fischi e grida pensavo meritarmi la soddisfazione di vedere una beccaccia, gli azzardai un timido:
-Senti, vai pure giú che io passo dall´altra parte della cima a veder se lo scorgo e poi ti raggiungo!-  Sempre ad onore di quel vero giá citato sopra, di cime quel giorno ne scavallai piú d´una, ma alla fine, proprio sul canto di una ripida tagliata di bosco…
-….CLAN!….CLAN!..-  Due leggeri rintocchi del campanone mi rivelano il cane che, pur tremando vistosamente, pare tenere ancora la ferma. Guardo l´orologio :
-Mio Dio! ..38 minuti! É 38 minuti che stá cosi… impossibile!..- e – Clic!-  Fa la doppietta uscendo dalla sicura, mentre m´avvicino.
-..Impossibile che ci sia ancora…troppo tempo…-.
La beccaccia calda contro la mia schiena nella tasca della cacciatora era giá una caparra al contratto che avrei firmato lí a poco per il suo acquisto e mentre scendevo verso l´automobile mi trastullavo osservando quel cane con occhi diversi.

 

IMG_1737Il quadrupede infatti non era affatto brutto come apparso cosí di primo incontro. Sotto il suo sudiciume era alto e slanciato, con gambe e canna nasale lunghe lunghe. Tutto il corpo era ricoperto da un manto satinato e candido (quando fosse stato pulito) che si arrendeva soltanto alla maschera d´ambra intorno agli occhi. Pareva proprio uscito da uno di quei dipinti inglesi del secolo scorso. Lui, cane dell´800 e di cacce d`altri tempi, come avesse realmente capito che quell´uomo di lingua foresta gli avrebbe cambiato la vita in quel giorno, si lasciava guardare e, scendendo tranquillo la valle, ammiccava fiducioso dimenando la coda. Gran cosa la scienza! Quella scatoletta magica, dal suono udibile a distanze di gran lunga superiori al romantico campano. Quella scatoletta che mi permetteva di usare quell meraviglioso cane da grande cerca, rabdomante e inventore di beccacce, in quei boschi nel fiordo di Os. 2007Lui che in quei posti é diventato famoso e leggenda anche tra I cacciatori norvegesi, col sinonimo di “Rögde-machine” (traduzione letteraria “macchina-da-beccacce”). Quegli stessi cacciatori che, con una velata simbiosi di patriottismo e gelosia, mi ricordano sempre del suo puro sangue norvegese come di un marchio DOC su un ottimo vino.

 
..Beep…beep…beep…
Il “Beeper” suonava il suo valzer e il tempo si era fermato.
Io, il Re e la Regina, immobili come statue di sale sullo sfondo del fiordo incastrato tra I monti innevati, stavamo giocando una partita dove il “prima” o il “dopo” non avevan piú senso. Pezzi in stallo su una scacchiera incantata che, incuranti dei rumori e delle imprecazioni dell´ancor incerta battaglia tra il Marco e I soldati-ginepro, attendevano pazienti uno la mossa dell´altro.
..Beep…beep…beep…
Allo sfrullo, oltre le cime dei rami, lo schianto del colpo parve far sbocciare un fiore bruno tra i fiocchi di neve per poi subito disperdersi nei refoli del vento. Quel vento del Nord che mi porta, con l´odor dello sparo, profumi di inverno e del Natale incipiente…….e delle piume leggere.IMAG0088

 

Silvio Umberto Intiso

Enormi cumuli di nuvole rotolavano minacciosi nel cielo plumbeo a cosí bassa quota da lacerarsi sfilacciandosi sulle cime aguzze degli abeti.                                       Le fortissime raffiche di vento, trascinando turbini di foglie secche e neve, scuotevano paurosamente le gigantesche conifere intorno alla radura e, frustando con violenza inaudita le erbe palustri che la ricoprivano, creavano cosí un’illusione di onde in corsa su di un mare impazzito.

 

                (20.000 B.C.)     

 -IL SAURO-

Per oltre 350 milioni di anni la sua “specie” aveva dominato il pianeta sopravvivendo ai millenni e alle molteplici ere glaciali.                                                                    Il Sauro, perfettamente mimetizzato tra le alte canne, irrigidí i possenti muscoli delle zampe posteriori conscio della vicinanza del nemico.  Nonostante il caotico frusciare creato dal vento nella vegetazione circostante, grazie al suo sensibilissimo udito, aveva intuito che il canide, cauto ma incalzante, aveva ulteriormente diminuito la distanza che li separava.                                                                                                                                                                                                                                 Grossa mole e agilitá di quattro arti motrici combinati con fauci potenti e grossi denti potevano significare per lui, in un confronto diretto, una quasi sicura e forse non troppo veloce morte.                                                                                                                                                                                                                                       A peggiorare ulteriormente le cose si erano aggiunti i tonfi goffi e pesanti che, materializzatisi tra i mille rumori giá esistenti, rivelavano senza ombra di dubbio la presenza di un primate. Quei grossi bipedi, cacciando coi loro servi quadrupedi, con strane e incomprensibili tecniche davano di norma ben poche possibilitá di scampo alle prede prescelte. Pietrificato nella sua posizione valutó la situazione con la serietà mortale che essa richiedeva.

 

 

IL CANIDEIMG_1711

La violenza delle raffiche oltre a rendergli difficile equilibrarsi gattonando in un quel terreno coperto d’acqua, gli complicava l’intercettazione dell’usta del sauro che peraltro, sicuramente consapevole della sua presenza, aveva gia piú volte cambiato direzione nella speranza di fargli perdere le tracce.

Adesso, dopo averlo pressato a quella che lui riteneva essere la giusta distanza, sentiva di averlo finalmente convinto a confidare nel mimetismo dell’immobilitá, consentendo cosí al suo lento compagno primate di raggiungere una posizione piú favorevole all’uso delle sue armi.

L’esperienza e il selettivo senso del suo naso gli dicevano che davanti a lui stava un grosso e vecchio maschio e rabbrividí al ricordo dei velocissimi colpi d’artiglio e di possente becco ricevuti nei furiosi incontri precedenti.

Di fianco a lui ma senza vederlo a causa dell’alta vegetazione palustre capi dall’interruzione dei passi che il primate, dopo aver superato la sua posizione, si era fermato.

Intuii l’incipiente battaglia finale e nell’ululato del vento si irrigidí definitivamente in attesa degli eventi.

 

 

IL PRIMATE

Solo la necessitá di procurare cibo alla tribú e la sua famiglia nell’incipiente inverno lo avevano spinto a sfidare le raffiche di pioggia e neve con cui oggi il dio adirato flagellava il mondo e i comuni mortali. Ritto sul capezzolo della sacra mammella di roccia che la Grande Madre aveva posto a sovrastare le cime delle erbe palustri nel centro dell’acquitrino, il primate, cauto e sospettoso, annusava il vento dilatando le grosse nari e, stringendo nervosamente la pesante lancia tra le mani, cercava di individuare il canide tra la vegetazione impazzita. Gli schianti degli alberi abbattuti, ricordandogli le storie terribili di morti e arti storpiati narrate dagli anziani intorno al fuoco, aumentarono le sue paure e con timore riverenziale pregó la Grande Madre di proteggerlo da quel furore che affliggeva la sua sortita di caccia.

 

IMG_1699(2000 p.C.)    

                                                      IO                                                                                                                                               

 

L’acqua gelida, superato il gambalino dello scarpone GORETEX, innondó con lentezza quasi sadica il suo interno.                                                                                                                                                              -Merda!- Annaspai in avanti impacciato dalla doppietta e dalle canne e riuscii finalmente a issarmi sulla grossa semisfera di granito a cui ero aggrappato.  Giá di prima mattina, contemplando dalla finestra della baita il tempo infame che imperversava quel fine autunno lappone, avevo stabilito che solo un emerito cretino sarebbe uscito a caccia quel giorno, opinione peraltro pienamente confermata dal modo sbrigativo e schifato con cui il bracco adempiva ai suoi bisognini mattutini.                                                                        -Neanche a dirlo! – esclamai ad alta voce uscendo dai miei cupi pensieri.                                       -….Eccoci quí fracidi e intirizziti, io coi gli scarponi pieni d’acqua aggrappato ad un mammellone roccia nel mezzo di uno schifosissimo acquitrino e lui, sicuramente piú pesce che cane, da qualche parte di quel marasma impazzito di acqua e canne.-

L’ira per la perdita dell’ultimo cantuccio asciutto del mio corpo scemó rapidamente mentre, barcollando come un acrobata ubriaco cercavo disperatamente di non scivolare su litico simbolo sessuale che, come un’isola nel centro dell’acquitrino,spaziava sulle canne circostanti.  Lacrimando per le raffiche di neve e pioggia, cercavo di individuare il manto bianco arancio del bracco nella vegetazione circostante e meditavo su cosa poteva essere cosí interessante a trasformarlo in una carpa a sguazzare in posti frequentati solamente da zanzare.  Una ennesima raffica riuscí finalmente ad aprire le canne e a permettere a me di intravederne la sagoma;      Lui, bracco italiano di nobilissime origini, immobile su tre zampe sprofondate nel fango dal peso degli alti lignaggi e dai suoi trentatre chili, indicava stoicamente con l’ultimo arto in dotazione dei grossi ciuffi di puzzolentissime erbe palustri poste ad alcuni metri dal mio fianco sinistro.                                                                    Guardai rapidamente l’ambiente circostante al mio bellissimo cane e mi venne un terribile sospetto:                                                                                                          -orrore!…. e se fossero renne?-  Spesso accade che nelle giornate ventose trovino rifugio nelle radune per evitare il pericolo di alberi stroncati.                                      Giurando mentalmente di sparargli (…drammatizzazione letteraria!) una botta sulle nobili e braccoidi natiche se tutto il successo fosse a merito di un volgare ruminante cornuto, volli dargli il beneficio del dubbio, e, tolta la sicura dell’arma, mi bilanciai per il tiro.

 

 

IL GALLO

Dei 350 miglioni di anni in cui la sua specie aveva dominato il pianeta e delle conseguenti ere glaciali a essi succeduti, se pur anche presenti come echi genetici nella sua memoria, in quel determinato momento non glie ne poteva fregare di meno.                                                                                                                                  Rabbia e paura erano invece i sentimenti che primeggiavano sovrani nella mente dell’Urogallo.                                                                                                      Sapeva perfettamente il modo di esimersi da quel tipo di pericolo anche perché conosceva i limiti degl’avversari, ma l’essere disturbato durante la sua colazione mattutina e, a digiuno, dover arrischiare un volo infradiciante tra le raffiche di pioggia e vento sovrastanti, non erano esattamente il modo con cui lui, signore indiscusso della foresta, aveva preventivato di incominciare la giornata …e il tutto per una dannatissima decisione sbagliata.                                                                                      I primi segnali dell’avvicinarsi di un intruso erano stati identificati da lui giustamente come appartenenti a un quadrupede e probabilmente un canide, per cui il suo conseguente defilamento in ambiente acquatico sapeva essere la soluzione migliore per far perdere le tracce al quel fottuto naso canino.                                 Purtroppo peró, forse per decisione troppo frettolosa, non aveva distinto quelli, molto piú pericolosi, dei passi del fottutissimo bipede che l’accompagnava, togliendosi cosí la possibilitá di optare all’alternativa piú consona al caso: ”inbroccarsi” tra il folto gli alberi e, solo in un secondo tempo, abbandonare la zona con un silenzioso e invisibile volo. Volare scoperto in presenza di un umano era, nella sua memoria, collegato a quel cupo boato e al fischio rabbioso che, alcuni cicli fá, gli aveva morso le chiappe facendolo tuttora leggermente zoppicare. Le raffiche sopra di lui non accennavano a diminuire e consapevole che il trascorrere del tempo giocava a favore degl’incalzanti avversari, prese la decisione finale:         raccolse le forze e saltó in verticale aprendo le possenti ali alla furia del vento.

 

IL BRACCO Toro 3

Satollo di zuppa calda e acciambellato nella cuccia asciutta attendeva, stanco ma pago, che il ”sonno dei gusti” concludesse la sua giornata.

Nel dolce torpore che lentamente prendeva possesso del suo corpo sogno e realtà incominciavano a confondersi.

Nella sua mente intorpidita, alle strane modulazioni fischiate che il primate capo branco emmetteva tra gli scroscii della doccia incominciarono ad alternarsi, come vividi lampi, remoti ricordi .                                                                                         Il sentore di muschio del gallo bagnato tra le sue fauci mischiato al gusto putrido dell’acquitrino si alternarono visioni di giochi e di ombre su pareti di fumose caverne dove, intorno ai fuochi, ominidi gesticolanti fendevano l’aria raccontando alle femmine e ai cuccioli sazi di astuti attacchi e fughe sfrenate stroncate dai pesanti giavellotti. Accovacciati nell’entrata della caverna il branco di sciacalli che viveva in simbiosi con la tribú faceva la guardia ai pericoli della notte rosicchiando i resti e ossa bruciacchiate ricevuti dagli ominidi riconoscenti. Il frullo e lo sparo tra le canne dell’acquitrino si inserí tra i ricordi del suo inconscio paleolitico trasmettendo agli esausti arti motori incontrollati impulsi e scatti di azioni immaginarie e, mentre remoti odori di carni arrostite si mischiavano a quello pungente di un dopobarba, lentemente affondó nel buio del sonno.

 

                                                                                                                                                                  Silvio Umberto Intiso